Validità del Trust liquidatorio: Tribunale di Cremona, Sentenza del 08.10.2013

articolo a cura di:
Giovanni Perilli
Giovanni Perilli

pubblicazione:

Il Tribunale Ordinario di Cremona, Prima sezione civile, con la sentenza del 08.10.2013 in commento, ha confermato la validità di un Trust liquidatorio, cui veniva conferito tutto il patrimonio sociale, istituito allo scopo di agevolare la liquidazione in favore dei creditori sociali. Nel Trust in analisi venivano altresì conferiti beni immobili personali di uno dei soci. Successivamente la società disponente, in crisi, veniva cancellata dal registro delle imprese e, in seguito, dichiarata fallita dal Tribunale di Cremona.

Nella specie, veniva convenuto in giudizio il Trustee onde sentir dichiarare la nullità, l’inefficacia, la risoluzione del Trust liquidatorio in oggetto, ovvero la revoca dello stesso, con condanna alla consegna al Curatore dei beni conferiti; in subordine, in caso di nullità parziale, nominare il Curatore nuovo trustee in sostituzione del precedente ed ordinare al trustee il rendiconto.

In particolare, il Fallimento, richiamandosi a precedenti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Reggio Emilia, denunciava la nullità del detto trust, in quanto stipulato quando la società era già in stato di dissesto, ovvero lo scioglimento ex art. 78 L.F.; in subordine ne denunciava la simulazione e, quindi, l’inopponibilità al fallimento, in quanto sham trust, non diretto a fornire alcuna reale utilità aggiuntiva alla disciplina della liquidazione della società, ma diretto unicamente a segregare il patrimonio a danno dei creditori; in ulteriore subordine, per il caso di ritenuta validità del Trust in oggetto, chiedeva disporsi la revoca dell’atto istitutivo del trust. Con riferimento invece ai beni personali del socio conferiti in trust, invocando la validità del trust in parte qua, chiedeva dichiararsi il subentro del Curatore nella qualità di beneficiario, di guardiano o di trustee.

 

Il Tribunale di Cremona, respingeva inanzitutto le richieste volte ad ottenere la nullità o, comunque, l’inefficacia del Trust sostenendo, innanzitutto, che non è convincente in assoluto il principio, sostenuto da parte della giurisprudenza in materia, secondo il quale un trust liquidatorio costituito quando la società versa già in stato di dissesto sia ab origine nullo (o inefficace), ex art. 13 Conv. Aja, per contrasto con la legge fallimentare (o meglio, con la liquidazione concorsuale).

Infatti, evidenzia il Tribunale, che a seguito delle modifiche alla L.F. succedutesi negli ultimi anni, è stata avviata in misura via via crescente la strada della privatizzazione delle procedure concorsuali (concordato, accordi di ristrutturazione, ecc.). In particolare la dichiarazione di fallimento non è più, oggi, lo sbocco necessario e ineludibile delle citate procedure negozializzate, ben potendo ipotizzarsi il caso, tutt’altro che remoto, che nessuno dei creditori e nemmeno il P.M. chiedano che, risultata vana la procedura minore, sia dichiarato il fallimento.

Del resto l’ordinamento conosce altri strumenti di autonomia privata attraverso i quali il debitore, ivi comprese le società commerciali, può gestire per via negoziale e stragiudiziale il rapporto con i creditori, tra i quali spicca la cessio bonorum, ex art. 1977 e ss c.c., rispetto alla quale non è mai stata invocata una nullità originaria per il caso che l’impresa si trovasse già in stato d’insolvenza all’epoca della conclusione del contratto de quo.

In merito alla richiesta di dichiarare la simulazione del Trust de quo (sham trust) perchè il suo scopo non aggiungerebbe alcuna utilità al procedimento liquidatorio già previsto e disciplinato dal c.c., il Tribunale evidenzia che nel Trust venivano conferiti anche beni personali di soci “i quali, in forza della responsabilità limitata della Srl, in nessun caso potevano essere aggrediti dai creditori. Per tale ragione il Trust non sembra simulato, ma al contrario effettivo e meritevole di tutela ed anzi vantaggioso per i creditori, che vedono incrementato il patrimonio destinato alla propria soddisfazione”.

Quanto poi al fatto che, in tal modo, la società ha potuto spogliarsi di ogni suo bene e cancellarsi dal registro delle imprese, anticipando il termine annuale per la declaratoria di fallimento, Il Tribunale non considera tale circostanza quale motivo di mancato riconoscimento del Trust e ciò perchè da un lato lo stesso legislatore, con la modifica agli artt. 2484-2495 c.c., ha deciso nel senso che la cancellazione dal registro delle imprese comporta automaticamente l’estinzione della società, indipendentemente dal se e dal come si sia concluso il procedimento liquidatorio (degli eventuali debiti rimasti insoluti risponderanno i soci); dall’altro l’anticipata estinzione della società può avere altre finalità, oltre a quella di far decorrere quanto prima il termine annuale per la declaratoria di fallimento, ad esempio quello meritevole di evitare di continuare a pagare tasse, dipendenti, consulenti fiscali, ecc. su una società ormai destinata a morire.

Prosegue il Tribunale “quand’anche la finalità fosse quella di far decorrere quanto prima il termine annuale per la declaratoria di fallimento, non per questo il trust potrebbe considerarsi nullo o simulato: quanto ai creditori, esistendo un regime di pubblicità notizia per le vicende delle imprese, è loro onere tenersi informati sulle sorti della propria debitrice; quanto alle responsabilità penali dell’imprenditore, il fatto che riesca ad evitarle è un riflesso dell’inerzia dei debitori nel chiedere il fallimento e non già del fatto che si sia fittiziamente anticipata l’estinzione della società”.

Infine, sull’ultimo aspetto sottoposto all’attenzione del Tribunale, ossia la tesi della nullità e/o inefficacia sopravvenuta del trust, è vero che il trust liquidatorio, di regola, non può sopravvivere all’intervenuto fallimento, altrimenti si verrebbero a creare due procedure liquidatorie concorrenti con identità di scopo, una privata ed una pubblica, dove la prevalenza deve attribuirsi alla procedura pubblica, in quanto, con la dichiarazione di fallimento, la gestione della crisi d’impresa viene assunta dal Tribunale, coadiuvato dal Curatore, e, quindi, lo scopo del trust diviene impossibile.

In tal caso, secondo il Tribunale, la disciplina sarà quella prevista dall’atto istitutivo del trust, o, in mancanza, dalla legge regolatrice prescelta, per il caso di impossibilità del trust di raggiungimento dello scopo (come detto derivante dalla prevalenza della procedura pubblica su quella privata).

Nel caso di specie l’atto istitutivo del Trust prevedeva che lo stesso terminasse allorquando il trustee (o, in caso di sua inerzia, l’Autorità Giudiziaria, ex art. 42 legge di Jersey, sollecitata dal trustee, da qualunque beneficiary o dal guardiano) dichiarasse l’impossibilità di raggiungimento dello scopo; in tal caso, ai sensi dell’art. 14.2 dell’atto istitutivo, si era previsto che il patrimonio residuo, una volta soddisfatti tutti i beneficiari, fosse distribuito tra i soci. Peraltro l’art. 43 della legge di Jersey (rubricato “cessazione di un trust di Jersey”) prevede che, senza che ciò pregiudichi i poteri della Corte di cui all’art. 51 e nonostante quanto previsto dal Trust, la Corte, adita ex art. 51, può adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni. In concreto, il Tribunale osserva che non essendo stati i beneficiari integralmente soddisfatti, il patrimonio del trust non potrà essere redistribuito tra i soci ma dovrà essere attribuito alla procedura assorbente e, per essa, al Curatore, che ne curerà la liquidazione concorsuale, previo ricorso all’Autorità Giudiziaria, ex art. 51 legge di Jersey, che, in sede di volontaria giurisdizione, adotterà i provvedimenti ritenuti opportuni e, segnatamente accerterà l’impossibilità del trust di raggiungere lo scopo e disporrà la devoluzione dei beni del trust al Curatore.

Più difficile, per il Tribunale, l’ipotesi che l’Autorità Giudiziaria possa nominare un nuovo trustee, magari il Curatore, in quanto ciò presupporrebbe comunque l’esistenza e la prosecuzione di una procedura liquidatoria privata parallela a quella concorsuale.

In altre parole, ogni volta che, dopo la costituzione di un trust liquidatorio, sopravvenga il fallimento della società, si verificherà una impossibilità di raggiungimento dello scopo del trust stesso e, allora, dovrà verificarsi di volta in volta cosa prevedano l’atto istitutivo del trust o la legge prescelta per la sua disciplina in ordine alla sorte dei beni conferiti.

Tenendo comunque presente che, quand’anche sia l’uno che l’altra prevedano scopi incompatibili con la procedura concorsuale e la legge regolatrice non attribuisca alla Corte gli ampi poteri previsti nella specie dalla legge di Jersey, il Curatore avrà comunque a disposizione lo strumento specifico dell’azione revocatoria per tornare in possesso dei beni conferiti in trust.

A fronte di tale rimedio specifico del resto, secondo il Tribunale di Cremona non è utile ipotizzare un’invalidità originaria o sopravvenuta del trust, salvo solo l’ipotesi dello sham trust, delineata dal Tribunale di Reggio Emilia, che però, lungi da ogni automatismo, richiede una disamina in concreto della struttura e degli scopi dello specifico trust di volta in volta sotto esame.

Inoltre, poi, nella fattispecie, l’azione revocatoria è stata esercitata dal Fallimento non già avverso l’atto di disposizione (o meglio, di dotazione) del trust, bensì contro l’atto istitutivo, essendo invece noto e ormai pacifico in giurisprudenza che è l’atto di dotazione che deve essere aggredito. Quanto al diritto di rendiconto, esso spetterà al curatore soltanto a seguito di dichiarazione di estinzione del trust e devoluzione dei beni al fallimento.

Sentenza Tribunale Cremona 08.10.2013

Potrebbero interessarti: