Confermata la validità e l’efficacia del Trust liquidatorio (Tribunale di Brindisi, Sentenza del 28.03.2011)

articolo a cura di:
Giovanni Perilli
Giovanni Perilli

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Alla stregua della giurisprudenza ormai maggioritaria, il Tribunale di Brindisi, sentenza del 28 marzo 2011, ha ribadito la legittimità del trust nell’ordinamento giuridico italiano, in particolare del c.d. trust “interno”, nel quale l’unico elemento di estraneità consiste nella legge regolatrice scelta dal disponente per disciplinarlo, mentre tutti gli altri suoi elementi (beni, trustee, amministrazione, ecc…) sono collocati nel territorio italiano. Per il Tribunale di Brindisi, l’istituto del trust, infatti, risulta espressamente riconosciuto e pienamente operativo nel nostro ordinamento, alla luce della legge n. 364 del 1989  di ratifica ed esecuzione della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento.

Secondo il Tribunale “il trust deve senz’altro essere positivamente valutato dall’ordinamento giuridico. Ciò in quanto, sotto un primo profilo, esso risulta espressamente riconosciuto, stante la suddetta legge n. 364/89, che ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione Aja del 1985. In secondo luogo, esso attua una segregazione di beni non dissimile a quella propria di analoghi istituti parimenti esistenti all’interno dell’ordinamento, e segnatamente – tra gli altri – il fondo patrimoniale (art. 167 c.c.), l’eredità beneficiata (art. 484 e ss. c.c.), la separatio bonorum (art. 512 c.c.), i fondi comuni di investimento mobiliare (d. lgs. n. 58/98), i patrimoni con vincolo di destinazione (art. 2645 ter c.c.), i patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 bis e ss. c.c.). Infine, l’avere il legislatore fiscale espressamente riconosciuto il trust quale soggetto giuridico d’imposta (art. 73 d.p.r. n. 917/86), consente senz’altro di valutarlo positivamente all’interno dell’ordinamento. Né a tale conclusione osta il principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c, atteso che il comma 2 del medesimo articolo ammette deroghe legali al richiamato principio. E nel caso di specie, la deroga legale al principio generale di cui all’art. 2740, comma 1 , c.c. è proprio quella riveniente dalla legge n. 364/89, di ratifica della Convenzione Aja, che prevede per l’appunto (art. 2, comma 2, lett. a), quale elemento caratterizzante il trust , il fatto che i beni conferiti in trust costituiscono una massa distinta e autonoma, che non fa parte del patrimonio del trustee. Ancora, non costituisce ostacolo alla generale ed astratta ammissibilità del trust il principio del numerus clausus dei diritti reali, posto che il trust non deroga a tale principio, in quanto esso non realizza affatto un nuovo diritto reale atipico e innominato, ma si muove nel pieno solco della proprietà quiritaria (art. 832 c.c.), con la sola peculiarità che esso riconosce quale dominus un soggetto (il trustee) diverso dall’originario disponente. Infine, all’ammissibilità del trust , e in particolare di quello interno, non osta il rilievo che l’ordinamento italiano non disciplina espressamente l’istituto giuridico del trust . Invero, sotto un primo profilo, tale affermazione deve essere fortemente rimeditata alla luce dell’istituto, di recente conio, dei patrimoni con vincolo di destinazione (art. 2645 ter c.c.). Istituto che realizza una particolare segregazione di beni immobili o mobili registrati, i quali si distaccano dal patrimonio del proprietario originario, che può destinarli a peculiari finalità socialmente utili, con un vincolo che, se debitamente trascritto, è opponibile erga omnes. Più in particolare, l’istituto ex art. 2645 ter c.c. consente ad un soggetto di spogliarsi di uno o più beni, non diversamente da quanto accade al settlor nell’ambito del trust . Inoltre, il disponente ex art. 2645 ter c.c. attribuisce ad altri la proprietà di detti beni, similmente a quanto accade al settlor nei confronti del trustee. Infine tali beni vengono vincolati dal disponente alla realizzazione di un fine determinato, socialmente utile, alla stessa maniera con cui il settlor vincola i beni conferiti in trust alla realizzazione di un fine determinato. Pertanto, se si escludono differenze marginali tra i due istituti (es. la limitazione dell’istituto ex art. 2645 ter c.c. ai soli beni immobili e mobili registrati, nel mentre tale limitazione non è prevista per il trust ), e se si considera la possibilità che nel trust vengano nominati uno o più “guardiani”, figura, quest’ultima, che non è prevista (ma neanche vietata) nei patrimoni con vincolo di destinazione, per il resto i due istituti tendono a coincidere quanto ai loro tratti salienti. La qual cosa non consente (più) di affermare – quantomeno non in termini netti – che il trust interno non è disciplinato dall’ordinamento italiano, e che quindi, per tale ragione, il trust interno non possa venir ammesso all’interno dell’ordinamento medesimo.

Ciò chiarito, neppure può sottacersi che – quand’anche si voglia ritenere che permanga, anche dopo l’istituzione del patrimoni con vincolo di destinazione, l’assenza di disciplina interna del trust – ai sensi dell’art. 6 Convenzione Aja il trust è regolato dalla legge scelta dal contraente. Legge che, ove si ritenga che il trust non abbia cittadinanza del diritto italiano, non può che essere, per esclusione, quella di altro ordinamento estero. Ma, se così è, sarebbe del tutto contraddittorio un legislatore che, da un lato, non volesse riconoscere la validità del trust interno, e sotto altro profilo, ne prevedesse comunque l’applicazione all’interno dell’ordinamento, mercé riferimento alla legge scelta dal disponente (art. 6).”

Ammessa, pertanto, sul piano astratto, la validità e l’efficacia del trust in Italia, appare condivisibile la conclusione a cui giunge il Tribunale nell’affrontare la fattispecie concreta, laddove ritiene che  non può  però riconoscersi validità al trust che è costituito con lo scopo di realizzare una “liquidazione armonica” dei debiti del disponente, ma tralascia “inspiegabilmente” un credito consacrato in un titolo giudiziale divenuto inoppugnabile.

Inoltre, nell’atto istitutivo del trust in analisi, venivano segregati i beni per diversi anni e ciò è considerato inconciliabile per il Tribunale con le aspettative dei creditori ad un realizzo dei rispettivi crediti entro un termine ragionevole, tanto più in assenza di qualsivoglia concreta garanzia  nell’atto istitutivo del trust che gli stessi, al suo termine, saranno soddisfatti per capitale, interessi e spese.

Tribunale di Brindisi, sentenza del 28 marzo 2011

Fonte: www.il-trust-in-italia.it

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