Col passare del tempo sempre più numerose sono state le pronunce giurisprudenziali atte a minare la convinzione radicata dell’impignorabilità delle polizze vita. La tesi delle assicurazioni affonda le sue radice nella lettura asettica dell’art. 1923 del codice civile il quale sancisce, fra l’altro, che “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare”.
Già a partire dal 2000, la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema (Sentenza n. 8676 del 25 gennaio – 26 giugno 2000), interpretando la suindicata disposizione e affermando che “Il problema che la fattispecie in esame propone è se per le somme dovute debbano intendersi quelle che l’assicuratore deve al contraente, a qualunque titolo, ovvero quelle, e solo quelle, che ordinariamente sono a suo carico, in relazione alla funzione tipica del contratto e al momento della naturale cessazione del rapporto, consistenti nella indennità assicurativa, oggetto della previsione negoziale. Ritiene il Collegio che quest’ultima interpretazione sia preferibile (…)”. Secondo la suprema Corte, i benefici ex art. 1923 del Codice Civile hanno come finalità ultima la tutela del risparmio finalizzato alla previdenza. “Ciò posto, va considerato che la finalità previdenziale è ravvisabile solo nel caso in cui il contratto abbia raggiunto il suo scopo, in relazione all’interesse garantito che nella assicurazione sulla vita consiste nella reintegrazione del danno provocato da evento morte o/e sopravvivenza, attraverso la prestazione dell’assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfare l’interesse leso da tale evento (…) per cui è solo la indennità, nella quale si traduce la prestazione finale dell’assicuratore, ad essere preservata dalla esecuzione o dalle misure cautelari e a sottrarsi quindi al fallimento, perché è questa il mezzo con cui si realizza la previdenza, alla quale mira il risparmio formatosi attraverso l’accantonamento periodico dei premi versati”.
Pertanto, solo le somme che l’assicurazione deve erogare al momento del verificarsi dell’evento oggetto di assicurazione ai beneficiari sono oggetto della tutela ex art. 1923 c.c., dovendosi, pertanto, dare una lettura restrittiva della norma, con l’obiettivo di disincentivare la prassi di sottrarre beni ai creditori mediante il versamento di somme in prodotti assicurativi. Sono escluse solo le somme che derivano dalla naturale cessazione del contratto, mentre risultano aggredibili le somme recuperate tramite un recesso discrezionale dell’assicurato.
Recentemente, nella sentenza n. 2871 del 31 Marzo 2008, la Corte di Cassazione, Sezione Unite, ha affermato che, anche dopo la dichiarazione di fallimento, il contratto di assicurazione sulla vita sottoscritto in buona fede dal fallito resta valido, con la conseguenza che il curatore fallimentare non è legittimato a domandare lo scioglimento del contratto per acquisire alla massa il relativo valore di riscatto. Prosegue, però la Corte, evidenziando però che nell’ipotesi in cui si dimostri che la stipulazione del contratto sia avvenuto non con l’intento previdenziale bensì per recare pregiudizio ai creditori, il curatore può agire in revocatoria in riferimento ai premi versati. Ne deriva che, se le somme dovute dall’assicuratore non sono aggredibili, ciò non è altrettanto vero per i premi versati dal cliente, aggredibili in qualunque momento da eventuali creditori.
Sul tema è intervenuto anche il Tribunale di Parma che con la sentenza n. 1107/2010 dell’11 giugno 2010 ha dichiarato la pignorabilità di Polizze vita rientranti nella categoria unit ed index linked. La peculiarità di dette forme assicurative risiede nel fatto che il premio versato garantisce un rendimento collegato all’andamento rispettivamente di un fondo finanziario o di un indice azionario, che può essere riscosso, unitamente al capitale versato, non solo in caso di morte dell’assicurato, bensì anche alla scadenza naturale del contratto stesso. In via preliminare, Il Tribunale precisa come detti prodotti assicurativi di investimento assolvono più ad una funzione di investimento che previdenziale e, pertanto, ne accerta la pignorabilità. Il Tribunale di Parma, ha stabilito che le polizze index linked sono da considerarsi prodotti finanziari a tutti gli effetti in quanto possono essere riscattati in qualsiasi momento e nulla garantiscono per l’assicurato nemmeno il rientro del capitale investito, il quale, a differenza di quanto accade per la “vere” polizze vita viene proprio assoggettato a quel rischio che le polizze vita si prefiggono di coprire. La circostanza che a tali forme di investimento siano associate un’assicurazione sulla vita per il periodo dell’investimento risulta del tutto irrilevante, posto che è assolutamente in secondo piano una qualsivoglia finalità previdenziale, potendo quindi essere aggrediti con le normali procedure esecutive. Di conseguenza, le stesse sono pignorabili a nulla rilevando il regime disciplinato dall’art. 1923 c.c.